Esiste una montagna che guarda alla stagione invernale senza l’angoscia dei costi dell’energia. È la Val di Funes, una vallata da cartolina con le vette tra le più iconiche delle Dolomiti: le guglie affilate del gruppo delle Odle (in ladino significa “aghi”).
“Consumiamo energia proveniente esclusivamente da risorse rinnovabili locali, come l’acqua, il legno e il sole”, spiega Robert Messner, guida escursionistica, in passato sindaco della valle.
“Tutta l’energia elettrica necessaria è prodotta in loco da tre piccole centrali idroelettriche e da un impianto fotovoltaico, mentre tre impianti di teleriscaldamento a biomassa tengono caldi gli edifici”.
Una rivoluzione verde partita nel 1975, quando alcune realtà locali raccolsero circa settemila firme contro un progetto che prevedeva di installare una nuova stazione sciistica e collegarla con la Val Gardena attraverso l’area di Rasciesa e Malga Brogles.

I progetti non passarono e oggi la Val di Funes è diventata l’alternativa all’industria dello sci di pista. In valle è presente solo un piccolo impianto di risalita (porta a una pista baby creata perché i bambini imparino a sciare), ma le attività che si possono fare sulla neve sono molteplici.
La formula adottata è semplice: riproporre, come in estate, il fascino dei sentieri che portano alle numerose malghe. C’è solo una differenza cromatica: se nei mesi estivi si naviga nel verde, in inverno lo si fa nel bianco.
Per ogni baita aperta, viene battuto almeno un sentiero percorribile. E non c’è che l’imbarazzo della scelta. Dai 14 chilometri abbondanti dell’Alta via Adolf Munkel, che da Ranui in cinque ore porta sino ai 2.000 metri d’altezza della Malga delle Odle, al sentiero che in quattro ore sale da Malga Zannes sino ai 2.423 metri del Col di Poma (circa 10 chilometri). Sotto le ciaspole la neve fresca scricchiola a ogni passo, mentre i sentieri attraversano foreste incontaminate. I percorsi sono studiati per non recare eccessivo disturbo agli animali seivatici: è facile infatti incontrare orme che ne testimoniano la presenza.

Tra fondo e scialpininsmo
Chi ama lo sci di fondo, dopo essersi allenato sull’anello di Malga Zannes, può spingersi sino al Passo delle Erbe: 18 chilometri lungo quella che in estate è una strada e che nei mesi invernali diventa una pista. Numerose le proposte anche per i cultori dello scialpinismo. Una delle più intriganti parte nel parcheggio Waldschenke (1.370 m) a Ranui. Da qui, inforcati gli sci con le pelli di foca, si scivola in direzione Weissbrunn, per poi proseguire prima verso la Malga Brogles e poi sino a Laite Va Piz (2.284 m). Sono circa sei chilometri che, se si è allenati, si percorrono in tre ore e mezzo. A seguire, una sciata in neve fresca che fa dimenticare le fatiche dell’ascesa.

Altre mete sono il Passo Bronsoi (circa 2 ore e mezza – 4 km) e il monte Gabler (circa 2 ore e mezza- 4,2 km). In ogni modo, a prescindere dal percorso, prima di partire per un‘escursione è doveroso verificare meteo e rischio valanghe sui siti specializzati (e muoversi accompagnati da guide locali). La Val di Funes, con i suoi 25 chilometri di piste per slittini, è anche il paradiso dei cultori di questa attività. Si può scendere a valle da quasi tutte le malghe aperte in inverno, noleggiando una delle centinaia di slitte disponibili in loco. Scivolando sulla neve si può arrivare sino a pochi metri dall’icona della valle, la chiesetta di San Giovanni in Ranui. Sorge isolata in un prato, con il gruppo delle Odle sullo sfondo. È parte del maso chiuso Ranui Hof, una residenza di caccia del XII secolo. La chiesetta ha il tetto a doppia falda in scandole, un coro a tre lati e il campanile con la cupola a cipolla in rame coronata da una stella. Ci si arriva scendendo da Malga Gampen: sei chilometri indimenticabili. L’ascesa a piedi dura un paio d’ore.

Una valle che attira i giovani
Per riprendersi, mentre si aspetta il tramonto, si cena nella calda stube rivestita in legno di cirmolo della malga. Poi, calato il buio, si imbocca la pista illuminata dalla luna e dalle stelle. L’inquinamento luminoso è pari a zero, ma d’altronde in Val di Funes “inquinamento” è una parola sconosciuta. Non solo perché da un paio d’anni la valle è plastic free e da ben 10 le acque nere di tutte le malghe sono collegate all’impianto fognario della valle, ma perché la battaglia ecologista del 1975, tre anni dopo, portò alla costituzione del Parco Naturale Puez Odle. Floridi pascoli alpini, fitte foreste e altopiani calcarei deserti, gole nate da erosioni secolari, un anfiteatro di creste di roccia simili a guglie aguzze di cattedrali gotiche. Una storia geologica che oggi è riassunta nel Museo delle Dolomiti di Zannes, dove sono raccontati i 270 milioni di anni di storia dei “Monti Pallidi”. I confini del Parco sono lontani dal fondovalle e questo ha consentito l’uso di prati e boschi senza restrizioni, cosa che avrebbe portato le nuove generazioni ad abbandonare la valle, e lo sviluppo dell’allevamento di due razze autoctone: la vacca Grigio Alpina e la Villnösser Brillenschaf, “la pecora con gli occhiali”, così chiamata per gli occhi cerchiati di nero. È una delle razze più antiche d’Europa, ibrida tra la pecora bergamasca e la padovana: a rischio di estinzione, si è salvata grazie agli allevatori locali.

“Negli ultimi anni”, racconta Oskar Messner, chef del ristorante Pitzock di San Pietro, “anche alcuni giovani hanno iniziato ad allevarle, insieme ai buoi di razza grigio alpina. Posso garantire che queste pecore, oltre a produrre una lana apprezzata da 250 anni, danno un’ottima carne”. E per una conferma basta prenotare un pranzo al suo ristorante.